Memorie by Giuseppe Garibaldi
autore:Giuseppe Garibaldi [Garibaldi, Giuseppe]
La lingua: ita
Format: epub, azw3
editore: BUR
pubblicato: 2013-06-24T22:00:00+00:00
NELL’ITALIA CENTRALE
Un desiderio naturale manifestavasi nell’Italia del centro, allora in piena ostilità contro i suoi padroni: di avere i Cacciatori delle Alpi.
Cotesto corpo godeva meritamente la stima del paese. D’indole indipendente, com’erano gli elementi che lo componevano, si poteva pensare con probabilità di non ingannarsi ch’esso non fosse vincolato indefinitamente agli ordini monarchici. Non abbisognava, quindi, stimolarlo molto per spingerlo contro tirannelli e preti.
Montanelli102 e Malenchini103 me ne parlarono; anzi ambedue fecero un giro nel centro, e tornarono, sollecitandomi ed esternandomi il desiderio dei governi di Firenze, Modena, e Bologna, cioè: ch’io mi recassi nell’Italia centrale, ove mi sarebbe stato dato il comando di coteste truppe.
Quando io risposi a Montanelli, che marcerei senza indugio, chiedendo la mia dimissione, egli m’abbracciò commosso. Malenchini poi giunse con una lettera di Ricasoli,104 che mi chiamava nell’Italia centrale per comandarne l’esercito, o parte di esso. In questa espressione io cominciai a capire che v’era qualche diffidenza; ma, siccome mai ho servito la causa dei popoli con condizioni, e massime quella del mio paese, io non feci parola. Il buon Malenchini però, mi diceva che Farini105 con cui aveva parlato a Modena, e Pepoli, che aveva veduto a Torino, lo assicurarono che mi darebbero il comando di tutte le truppe colà esistenti.
Chiesi la mia dimissione;106 e m’incamminai per la via di Genova a Firenze. Nella capitale della Toscana principiai a realizzare il mio dubbio e capire che avevo da fare colla stessa gente, con cui mi era toccato di trattare dal mio primo arrivo in Italia. Lasciato in Montevideo il comando in capo d’un esercito, che si batteva eroicamente da sei anni, e giunto in Italia coi miei poveri e valorosi settantatré compagni, dopo vari mesi di girovagare da Nizza a Torino, da Torino a Milano, di là a Roverbella, e poi ancora a Torino, ero pervenuto ad ottenere il comando d’alcuni resti di quartieri, poco prima della capitolazione di Milano, col grado di colonnello. E tale comando lo ottenni quando le cose della guerra già andavano a rompicollo, e perché a rompicollo andavano.
Io ero venuto dall’America per servire il mio paese, anche da semplice milite; e del resto poco m’importava. M’importava però assai veder l’Italia decorosamente servita e non lasciata in preda a certe masnade che non ci valgono. A Roma un ministro Campello, tenendomi co’ miei lontani dalla capitale con sospetti meschini, m’imponeva di non superare il numero di cinquecento militi.
In Piemonte al principio del 1859, mi tenevano come una bandiera per chiamare i volontari, i volontari accorrevano, ma da 18 a 26 anni eran destinati ai corpi di linea; i troppo giovani, i troppo vecchi ed i difettosi erano destinati a me, a cui s’imponeva di non comparire in pubblico per non spaventare la diplomazia, si diceva.
Una volta, poi, sui campi di battaglia, ove avrei potuto fare qualche cosa, mi si negavano quei volontari, ch’erano accorsi alla mia chiamata.
A Firenze non mi fu difficile capire che avevo da fare con gli stessi uomini, e si cominciò a parlarmi della possibilità dell’accettazione del generale Fanti al comando supremo, con cui avean creduto di lusingarmi.
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